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» Personaggio originale: Akira (Togainu No Ichi)

Si sa, vivere la vita da soli, senza nessuno su cui contare, con cui parlare o per cui vivere non è mai stato facile, soprattutto se quello destinato a viverla deve essere un bambino. Si parla di Reita, un cucciolo umano che a causa di un incendio, provocato da un'orribile demone nel suo villaggio natio, fu costretto a scappare da quell'umile dimora che da sempre aveva costituito la sua casa. Solo lui, di tutta la famiglia e i compaesani, riuscì a salvarsi. Il villaggio fu interamente raso al suolo da quelle imponenti fiamme e da quella notte nessuno fu più ritrovato, nè vivo nè morto. Il bimbo si ritrovò così all'età di 7 anni ad affrontare il terribile mondo che lo circondava in completa solitudine. Più e più volte sostava nei villaggi che incontrava lungo il suo cammino, non tanto per riposarsi, più che altro per cercare qualcosa da mettere sotto i denti. La paura di essere inseguito da quel mostro era tale da impedirgli di restare nello stesso villaggio per più di una notte. Vagò in lungo e in largo, per quei 3 mesi che potevano essere paragonati all'inferno. L'unico cibo disponibile erano dei pezzi di pane e altri viveri immangiabili che trovava tra la spazzatura; per dissetarsi era obbligato a bere l'acqua malsana dei fiumi e per dormire, invece, si rifugiava tra l'erba sotto ai ponti. Nei momenti dove pensava di non farcela stringeva con tutta la forza che aveva, piangendo, la targhetta d'argento che portava al collo, donatagli dai suoi genitori. Quello era l'unico ricordo che aveva di loro. Un giorno alcuni bambini del villaggio, più piccoli di lui, lo trovarono dormiente vicino al fiume e incuriositi gli si avvicinarono. Reita spaventato e debole, non sapendo che fare per difendersi, imitò il verso di un cane, e abbaiando a squarcia gola cercò di disfarsi di questi ultimi. I bimbi, divertiti, lo fecero anche loro e da lì iniziò un gioco senza fine in cui Reita faceva il cane, che doveva difendere un osso immaginario. Quel gioco era l'unico svago che lo allontanava dal dolore e fu proprio da lì che Reita acquisì il soprannome di "Pooch", semplicemente tradotto in "cagnolino" del fiume. Passò un'altro mese e ormai ridotto all'osso, il suo piccolo corpo cedette, abbandonandolo in un coma profondo e forse eterno... Grazie a Dio, qualcuno gli si avvicinò appena in tempo. Reita non poteva vederlo, ma grazie al suo "subconscio" sentiva chiaramente qualcuno che lo stava afferrando, poi alzando e infine trasportando. Non riuscì a capire quanto il viaggio durò, forse 5, 10, 15 min, non gli importava. Essere coccolato tra quelle possenti braccia calde era per lui come un ultimo desiderio, prima di morire. Ormai lo sapeva, la fine era vicina. Il suo corpo toccò di nuovo terra. Non udiva e non vedeva nulla. Una morsa stretta si avvinghiò e qualcosa di estremamente appuntino gli penetrò il braccio. Un dolore insopportabile accompagnato da un forte bruciore lo pervase. Prese successivamente a tremare e ormai in preda agli spasmi iniziò inconsciamente ad agitarsi, sbattendo più volte gli arti e il capo a terra. Un caldo liquido rosso fuoriuscì di getto dalla sua bocca, anche occhi e orecchie presero lentamente a sanguinare. La sua respirazione si fece affannosa e il suo cuore parve scoppiare. Un'altro grido di dolore echeggiò nel silenzio e il corpo del bimbo cadde di nuovo a terra con gli occhi sbarrati, ancora fissi nel vuoto. [...] Non si sa come, ma il bambino si svegliò. Non era più vicino al ponte, al contrario si ritrovò disteso su un letto, all'interno di quello che sembrava un particolare edificio. Andò prontamente a tastarsi il petto, notando con piacere che l'amata medaglietta si trovava al suo posto. Si rese presto conto di avere degli artigli e una coda, ma la forte emicrania non gli permetteva nè di vedere nè di sentire lucidamente. Una porta si aprì e una forte luce si ramificò nell'enorme stanza semi-buia. Qualcosa o meglio qualcuno vestito di nero si avvicinò a lui. Non si presentò, si limitò solamente a raccontargli perchè si trovasse lì. Reita cercò di ascoltare quanto più possibile e capì che quell'uomo l'aveva salvato da una morte certa. I giorni passarono e ci volle molto tempo, ma alla fine il ragazzo si riprese completamente e s'affezionò molto a quell'uomo che contrassegnò come secondo padre. Si capacitò di trovarsi così all'interno di un'istituto scolastico. Venne iscritto lì in condizioni speciali e quello diventò la sua nuova dimora. Dopo qualche tempo, l'uomo che lo salvò gli regalò un giubbotto particolare e un piccolo coltello, dicendogli che l'avrebbero protetto quando ne aveva più bisogno.

"Se un giorno diverrai davvero forte, allora ci rincontreremo di sicuro"

Gli disse, prima di scomparire nel nulla. La luce di speranza che si era formata nel suo cuore, si spense nuovamente. Reita, ferito moralmente, abbandonò così anche quell'accademia decidendo di tornare al suo villaggio, o almeno a quello che ne rimaneva. Attraversò tutto il Regno, cercando disperatamente il posto in cui era nato, ma senza risultato. Spesso gli capitava di pensare al suo secondo padre, non capacitandosene della sua improvvisa scomparsa, stringendo a s'è tutto quello che gli era stato donato. Gli anni passarono e lui crebbe molto, riuscendo a stabilirsi in un piccolo villaggio vicino alla capitale. Tutti qui parlavano di una possente accademia che era stata rinnovata recentemente e contava il massimo delle iscrizioni rispetto agli anni precedenti. La Heiwa. Ben presto, tutto ciò, suscitò in lui quel ricordo che mantenne per tutto quel tempo lontano, ricordandosi del suo salvatore. Fu proprio per questo motivo che si avviò verso la scuola, sperando che l'avrebbe ritrovato.